“Lo spunto prende
vita dagli scritti teatrali di Varlam Salamov, vittima dei Gulag,
e si incentra sulla dolorosa vita nei campi di lavoro. In grande intimità,
in una sola stanza troveremo un unico interprete, un prigioniero che
compie spostamenti quotidiani. L’unico suo compagno è
il suono che scandisce i tempi e i ritmi sul palco. Fuori dal suo
territorio tre macchinisti cambiano la posizione degli oggetti grazie
a delle corde ben posizionate.... ”
A. A. - Sipario
“ […] La percezione dello spettatore muta di continuo,
mentre ogni elemento viene spostato con fatica, con calibrata precisione
manuale arrivando al “gesto dell’oggetto”…”
Intercity – Teatro
“ La regia di Febo Del
Zozzo e l’interpretazione dello stesso […] è tutta
dedicata al dramma della deportazione, della prigionia politica, della
dura vita dei campi di lavoro, in una dimensione scenica ridotta all’essenzialità
del minuscolo territorio di una stanza, una nicchia di libertà
per il recluso.” L. Val.
– Il Messaggero di Pescara
“ […] Una stanza
semioscura, dove l’attore si muove lentissimo tra una poltrona
e un tavolino, all’esterno due macchinisti muovono corde, azionano
carrucole, freneticamente ma con misura, ritmo, ossessivo ma scandito.
Poi, movimento di scena, cala il soffitto, rimangono dei vestiti appesi,
lo stesso attore questa volta mima i lavori forzati, cadono cubetti
di legno, un cubo più grande, due marionette pendono dal soffitto
e lottano tra gli applausi registrati, poi una parete viene trafitta
con dei chiodi. In sottofondo interloquiscono le parole di Irina Sirontiskaja.
Parole anti spettacolari, fredde, necessarie, ma senza emozione, come
quelle pochissime dell’attore in giacca e pantaloni. I rumori
invece sono vividi, violenti, invasivi. Muoversi tra questi simboli
non è facile. Quelli di Laminarie ci costringono a selezionare
i sensi, preferire l’udito, dosare la vista, allenarla alla
lentezza del gesto, alla profondità dei piani (scena , proscenio,
sfondo […] I gesti sono astratti, svuotati da ogni intenzione
comuinicativa. Laminarie lavora sul sottile, sulle percezioni. Così
i gesti non hanno scopo pratico, nessuna emozione di partenza e in
questo vuoto diventano assoluti, radicali, trasparenti ma non privi
di memoria. Se il gesto lentissimo si trasforma in una nota per le
infinite combinazioni, le parole anch’esse impersonali si disperdono,
scandite da rumori persecutori (pagine di libro, colpi di martello…)”
“ […] l’artificio dei pannelli, delle pareti che
si spostano ad opera dei due macchinisti, le marionette, i cordami,
un po’ di teatro per bambini ma che qui diventa volontà
di mostrare, di soddisfare il falso desiderio della vista per trasportarla
immediatamente verso il dettaglio, essenza della poesia e suo flusso
vitale.” Simone Azzoni –
L’Arena - Il giornale di Verona |